Storie di vita

LO DISSE SOCRATE, LO CONFERMÓ PLATONE.
“A CHI GLI PIACE IL MANICOMIO È UN GRAN COGLIONE!”
Fino al 1970 esistevano i famigerati manicomi-lager di stato, veri campi di concentramento sovraffollati col sistema repressivo di sovradosaggio di pestiferi psicofarmaci.
Poi finalmente la Provvidenza Divina è intervenuta con l’illuminata personalità umanissima di Franco Basaglia, che ha capito bene la verità, che cioè gli internati nei lager erano vittime di una società violenta e ingiusta e, forte con i deboli e debole con i forti e vigliacca sempre…
La malattia mentale esiste: c’è l’epilessia, l’arteriosclerosi…, ma non tutti gli internati nei manicomi-lager del prima-Basaglia si potevano definire propriamente malati mentali. Infatti, c’erano anche molti che erano nei manicomi-lager perché non amati, non desiderati dai parenti.
Poi, per fortuna, il grandissimo Santo Franco Basaglia ha lottato contro pregiudizi della maggioranza deviante ed è riuscito a farsi avvocato difensore della gente internata nei lager. E così è avvenuto il miracolo tanto sospirato: la gente ingiustamente rinchiusa, ha riacquistato la libertà cristiana e ora praticamente vive come tutti gli altri.
Adesso praticamente l’ospedale psichiatrico è unito con l’ospedale civile e la permanenza temporanea è abbastanza limitata nel tempo. Anche il vitto e l’alloggio sono parificati con l’ospedale civile. C’è anche la possibilità di fare qualche passeggiata e amicizia con il personale medico e paramedico.
Un altro passo importantissimo si deve ancora fare: la definitiva liberazione di questa benedetta gente dai famigerati psicofarmaci, che tanto male hanno fatto a tanta gente (effetti collaterali).
L’Associazione Valle Aperta è stata ideata e promossa dal padre frate cappuccino Fabrizio, fedelissimo al Vangelo ed al Francescanesimo.
Essendo che qui nella casa di Ponciach si respira ancora la Santa atmosfera di Francescanesimo di padre Fabrizio, gli psichiatri e gli psicologi sono lontani mille chilometri.
Qui a Valle Aperta gli operatori possono liberare gli ospiti dagli psicofarmaci.
C.O.
PADRE NOSTRO
Padre nostro, che sei nei cieli, sia fatta finalmente la tua imperscrutabile ed infinitamente lungimirante volontà, e non la nostra, che è di vista corta.
Perdona i nostri peccati. Siamo tutti peccatori, perché siamo tutti costretti a far finta di vivere.
E dacci un boccone. Se e quando vuoi Tu. Ma prima però Papà ti preghiamo, chiedi consiglio ai bambini morti di fame. Grazie Papà. Ma soprattutto, e uso la parola “soprattutto”, sapendo di avere il consenso del Papà, soprattutto grazie a voi bambini della vostra pietà, perché noi tutti qua facciamo pietà.
A.G.
RIFLESSIONE SUL SILENZIO
Il silenzio può essere positivo o negativo. Io penso che può essere positivo se questo diventa un guardarsi dentro, per trovare una pace interiore, ma questa pace non è alla portata di tutti, è quindi difficile essere in pace con se stessi.
Questo caos interiore giustifica una vita sempre rivolta all’esterno, sempre alla ricerca di esprimersi a parole con i nostri compagni.
Se non si fa silenzio, come si suol dire non si pensa a quello che si dice, si corre il rischio di cadere nella banalità, nelle chiacchiere inutili.
D’altronde è così difficile dire qualcosa di sensato e sfido chiunque a fermare il flusso incessante di pensieri.
NON SI PUÒ PENSARE A NIENTE.
Tutto ciò per dire che a qualcosa bisogna pur pensare.
Tutto questo discorso mi porta a dire che il silenzio può essere anche negativo, ma non ci si può far niente.
C’è un chiudersi nel guscio. Quando non parliamo, purtroppo pensiamo e le frequenze del nostro pensiero possono essere positive o negative perciò affermo che il silenzio può essere anche
SOFFERENZA.
LA SOFFERENZA PSICHICA è una brutta bestia, meglio se non viene.
Purtroppo non dipende dalla nostra volontà e ci fa star male, inibisce la nostra voglia di fare, frena tutti gli entusiasmi e ci tempra come la forgia nel fuoco. La sofferenza psichica va sopportata e si deve lasciare che passi, non ci si può far nulla e grande è l’uomo che sa accettarla non come un castigo divino, ma come componente naturale dell’uomo. D’altronde per la teoria degli opposti se non ci fosse sofferenza non ci sarebbe neanche la gioia, quindi più si scava nel profondo più gioia possiamo contenere!
L.
LA FIABA DELLA LIBERTA’
“Sogno la libertà completa”. Era il pensiero che faceva sempre, da piccola, Anna.
“La libertà totale, quella che mi manca. Decidere io delle mie cose, delle mie amiche; non fare sempre quello che mi dicono gli altri. Oh,” Pensava Anna, “Ci sono dei momenti in cui vorrei essere sola al mondo con me stessa!”.
Ma il suo destino era sempre quello di subire… un destino, tutta la banalità della vita, la stringeva, e soffocandola, le impediva di vivere la vita come voleva.
Sognò un giorno una fatina che piangeva e le diceva: “Anch’io sono sola”. Ma disse Anna: “Come può una fata essere sola?”. “Questo non importa”, disse la fata, “Ma sono sola, e per sentirmi in compagnia, danzo con la mia felicità”.
E la fata danzò: esprimeva energia e vita.
E poi la fata fissò Anna negli occhi e disse: “Guarda, guarda i miei occhi…: ridono, perché sono viva; ma non ridono degli altri, ridono di follia. La follia della danza è l’unica mia libertà, è l’unica mia libertà!”.
Anna si svegliò con queste parole, proprio mentre lei stessa le pronunciava. Si guardava allo specchio e i suoi occhi le ridevano come la fata nel sogno.
Da allora in poi si sentì più libera, perché la danza del suo essere era libera in lei, negli occhi che le ridevano…
Era poi la gioia di vivere che ella aveva da sempre in lei.
D.S.
MEGLIO LA CONSAPEVOLEZZA O UNA SANA IGNORANZA?
A quanto pare a me, è meglio essere consapevoli della propria salute mentale, perchè una sana ignoranza non ti permette di guarire o perlomeno di riuscire a vivere meglio. Una sana ignoranza però rispetto alla consapevolezza si riesce a non abissarsi da tutti i problemi che si hanno e si vive il presente con più gioia. In effetti la gioia da portare in vacanza aiuta a vivere meglio il presente. Nonostante ciò ribadisco che per godere della propria vita non sta nel lasciarsi abbandonare alla malattia. A tutte le persone che a coloro le vien detto: “sei ammalato di mente”, si ritrovano a fare una scelta che consiste nel lottare per superare i propri limiti attraverso la psichiatria ed educatori, oppure lasciarsi andare, rassegnandosi a vivere, o meglio dire, a sopravvivere, nel suo mondo parallelo, tra la realtà e la propria fantasia. Io come essere pensante credo che almeno riuscirò a togliere l’ansia che mi blocca per lavorare. Chissà quanto potrei usare la mia intelligenza per vivere meglio. Credo di essere fortunata perchè anche se ho scelto la via più difficile da percorrere, riuscirò a raggiungere il mio obiettivo di guarire trovandolo nella mia autonomia e nella serenità.
G.V.
SONO FIGLIO DI UNA PROSTITUTA
Sono figlio di una prostituta e non conosco mio padre:
talvolta mi sembra di essere nato senza genitori.
Perché io non sono un figlio come gli altri!
Nessuno infatti mi ha mai desiderato…
La mia nascita è un incidente e quasi un dispetto.
Eppure questa non era la mia intenzione.
E come potevo avere un’intenzione, io, povero bambino!
Sono nato anch’io sereno alla speranza della vita, come gli altri.
Ho provato a piangere e a strillare, per farmi notare, come gli altri, ma poi piano piano ho incominciato a non piangere più perché era inutile: nessuno ci badava.
Forse sono un frutto sbagliato, un frutto amaro e indiscreto.
Quante volte mi guardo e mi dico:
Ma che ci sto a fare? Ma chi sono? Chi sono?
E non riesco a trovare neppure le poche parole che riempiono la carta d’identità di ogni uomo normale:
per me, figlio di N.N.
Signore, a volte dubito anche di te, del cielo, di tutto!
Mi da fastidio sperare perché mi sembra un atto vile e indegno dell’ingiustizia che sto soffrendo.
Talvolta urlo e invoco ciò che la vita mi ha tolto violentemente, e vorrei, come un pazzo, correre per le strade almeno per vedere le mamme.
Vorrei incantarmi guardandole mentre baciano i loro figli e poi guardare i figli per intuire cosa provano in quei beati momenti che per me non potranno mai esistere.
Ho bisogno di una mamma, di una carezza, di una dolce voce che mi chiami figlio!
O signore, ascolta il mio pianto.
Tu hai avuto la fortuna di avere anche una mamma, una mamma fatta su misura per te.
A me ne bastava una qualsiasi, una modesta, anche un po’ rozza.
Ma per me no, neanche così.
Mamma! Mamma del Signore, mi vuoi bene almeno tu?
Anche se sono un pezzente?
Mamma di Gesù, se dici di sì, baciami questa sera quando mi addormenterò e portami in cielo con te.
Fallo tranquillamente!
Non danneggerai nessuno perché io sono solo, non lascio nessuno e nessuno piangerà.
A.P.
IL PASTORE E LE SUE CAPRETTE
C’era una volta un pastore con una barba lunga e bianca. Indossava pantaloni marrone di velluto e una giacca di lana di pecora. In testa portava un cappello di pelle, ai piedi un paio di stivali. Aveva 6 caprette di colore bianco e marrone e nero. Ogni mattina si alzava presto, faceva la colazione e poi prende il secchio pieno di avanzi del giorno prima e li porta alle sue caprette. Le bestiole riconoscono il pastore, lo guardano e lo salutano (sbreghelando). Il pastore sente che le caprette come ogni creatura vivente, hanno bisogno di qualcuno che gli stia vicino e le voglia bene. Nelle belle giornate porta le caprette al pascolo che così possono brucare l’erba fresca e il broccone. Lui intanto suona allegramente la sua armonica a bocca, riempiendo di una dolce soave armonia l’ambiente circostante. Il pastore si sente così felice anche nel suo piccolo perché sa di essere importante e utile per le sue capre.
C. G.
IO E LA MIA VITA SENZA ALCOL
Io ho cominciato il mondo del club, insomma quando ho deciso di smettere di bere, nel 1994. E’ stata dura, tanto che dopo sette anni ho avuto una brutta ricaduta. Quando sono andato via dalla comunità di Maso San Pietro, nel 2002, ho fatto la balla di birra. Poi sono andato al club ad Ala e lì mi sono deciso una volta per tutte di non bere ed ho trovato dei vantaggi anche a livello di salute. Si può stare benissimo senza bere alcol. Anzi, consiglio anche ai giovani. Almeno, a me l’astinenza e la vita del club fa vedere le cose e fa affrontare i problemi in un altro modo. A me sembra di essere un’altra persona.
G.L.